mercoledì 30 aprile 2014

Ossessione


Dunque lo confesso, per qualche mese sono stata ossessionata da Giulio Mozzi. Giulio Mozzi è un consulente editoriale che seleziona autori per Marsilio, ma ai tempi della mia ossessione, che poi risale appena a un paio di mesi fa, lavorava ancora con Einaudi. Giulio Mozzi è anche un docente di scrittura creativa ed è uno che ci capisce e ci capisce parecchio e si intuisce subito. In poche parole, Giulio Mozzi è una persona che stimo e quando uno lo stimi è un po' più facile che ti venga un'ossessione, e comunque da quanto ho capito soffrire dell'ossessione Giulio Mozzi non è affatto raro, tra noi aspiranti, basta farsi un giro sul suo blog Vibrisse e si vede subito. Vai a leggerti un po' dei commenti in calce ai suoi post più caldi e capirai all'istante che c'è gente che non ci dorme la notte. Io almeno la notte ci dormivo. Insomma, una notte su tre. 
Io Giulio Mozzi l'ho conosciuto un sacco di tempo fa, nel 1997 o giù di lì, mi pare, quando ho comprato in libreria il suo Ricettario di scrittura creativa. E l'estate scorsa stavo scrivendo il mio secondo romanzo ed era un periodo di magra per le traduzioni e avevo tempo di gironzolare un po' tra i siti. E zac, l'ho ritrovato, nel suo blog Vibrisse. Questo periodo di magra per le traduzioni, c'entra anche questo, credo, nella mia ossessione, che quando traduci un romanzo non ce l'hai lo spazio mentale di farti venire le ossessioni e io invece non traducevo nessun romanzo e in realtà non lo traduco nemmeno ora, che il periodo di magra continua. L'ossessione però mi è passata, almeno credo. Su Vibrisse ci vado ormai solo una volta al giorno.
Ma insomma, fatto sta che l’ho ritrovato. Lui lavorava per Einaudi e leggeva tutto, assolutamente tutto, quello che gli arrivava. È una cosa che promettono in tanti, quella di leggere tutto, ma in genere non ci crede nessuno. Giulio Mozzi invece non ti viene un attimo di dubitarne, di quello che dice, lui legge tutto per davvero. È stato lì che s’è scatenato il mio spiritello allegro, quello che ogni tanto mi si poggia sulla spalla e comincia a blaterarmi all’orecchio: dai, forza, non mollare, ce la farai, così mi incita quel diavoletto. 
Mi sono messa a leggere tutte le sue istruzioni su come mandare i dattiloscritti, perché lui scrive questa specie di decaloghi da seguire per far sì che le cose vadano tutte per il verso giusto e ho cominciato a pensare: magari quando finisco glielo mando… Cominciano così, le ossessioni, da pensieri che all’inizio li pensi un po’ di striscio, quasi senza accorgertene, uno a saperlo prima si difenderebbe, ma all’inizio non lo sai mai la forza che c’hanno certi pensieri che sembrano innocui. E sì che Giulio Mozzi non è che sia uno che alimenta speranze. Al punto cinque del suo decalogo infatti scrive: “Ricevo più di cinque opere dattiloscritte al giorno. Le opere che trovo degne di lettura integrale sono ogni anno circa un centinaio; quelle che trovo davvero di un qualche interesse, non più di una ventina; quelle che riesco a portare alla pubblicazione sono tre o quattro. Vi prego di tenere presenti questi numeri. Più o meno nove opere su dieci sono tali da poter essere liquidate dopo la lettura di poche pagine; ho giurato comunque a me stesso di leggere trenta pagine (e di dare una sfogliata) a tutto ciò che ricevo, per quanto tremendo mi sembri”. Insomma, c’è da mettersi a piangere, c’è da stroncare anche lo spiritello allegro più ardito. Poi però vai a guardare i suoi commenti in calce, che sono praticamente risposte a tutti gli ossessionati che gli chiedono notizie sul loro dattiloscritto, e leggi che la maggior parte delle opere che gli arrivano sono piene di strafalcioni grammaticali e allora pensi: Ok, almeno nel mio strafalcioni grammaticali non ce ne sono, questi anni di traduzione a qualcosa mi saranno pur serviti.  E poi, sempre al punto cinque Giulio Mozzi continua: “Ho deciso dunque di farmi vivo solo quando ciò che leggo mi interessa, mi fa immaginare che dietro il testo ci sia una persona veramente capace di fare ciò che vuol fare, mi fa venire voglia di battermi per la pubblicazione dell’opera (se è un’opera già fatta e finita) o di mettermi a disposizione di chi l’ha scritta (se è un’opera incompleta, o incompiuta, o piena di ingenuità, o palesemente giovanile, eccetera)”, ed è questo ad alimentare davvero le speranze. Perché, ora vorrei che fosse chiaro, la mia immaginazione non si è mai spinta tanto avanti da pensare alla possibilità di essere pubblicata da Einaudi. Non ci ho mai nemmeno pensato, io, che potesse succedere. Avevo un unico pensiero, piacere a Giulio Mozzi. Scrivevo un capitolo e poi camminavo guardando il cielo con lo spiritello allegro che mi canticchiava nell’orecchio: a Giulio questo pezzo gli piace sicuro.  
Poi ho finito di scrivere, ho letto, ho riletto, e ogni volta quello che avevo scritto mi piaceva di più. A Giulio gli piace sicuro, continuava a istigarmi lo spiritello allegro. E allora io, era un pomeriggio di metà gennaio, ho impaginato tutto secondo le istruzioni, ho fatto un bel respiro, e ho mandato a Giulio Mozzi la mia creatura. Intanto su Vibrisse cominciava la rubrica La formazione della scrittrice e i primi due o tre articoli erano di scrittrici che erano state scoperte da Giulio Mozzi e io pensavo: Wow, che bello, essere scoperta da Giulio Mozzi! E giravo col cellulare sempre in tasca, per essere certa di sentirlo squillare. È così che vanno, certe ossessioni. E quel tempo della speranza, in fondo, non è poi male, con quello spiritello allegro che ti fischia sempre nelle orecchie.
Poi sono passati due mesi. Giulio Mozzi a riguardo non lascia adito a dubbi: se passano due mesi senza che mi faccia sentire, allora a me, del vostro scritto, non me ne frega niente. E i due mesi sono passati. Se l’abbia liquidato dopo le trenta pagine che si costringe a leggere o sia andato un po’ oltre non lo saprò mai, la cosa certa è che non gli è piaciuto, e allora gli ho dato un po’ di bastonate, al mio spiritello allegro, e l’ho chiuso in un cassetto.
Nel caso qualche aspirante scrittore avesse voglia di vivere un paio di mesi con uno spiritello allegro che gli fischia nell’orecchio, qui le istruzioni per l’invio dei manoscritti. E buona fortuna!

lunedì 28 aprile 2014

Ricomincio da qui

Un tempo avevo un blog e si chiamava così: Parole Arruffate. È stato in piedi per un paio di anni tenendomi compagnia per un bel pezzo di strada. Poi la quotidianità ha preso il sopravvento, splinder ha chiuso e così è sparito senza lasciar traccia, insieme a molti altri che a quel tempo mi tenevano compagnia. C'è chi dice che i blog sono ormai superati, che con l'avvento dei vari social network ai blog non bada più nessuno. Beh, io ci riprovo. Non so se riuscirò a scrivere con la stessa passione e costanza di un tempo, e non so se riuscirò a ritrovare la stessa elettrizzante atmosfera, ma le mie parole arruffate torneranno nel mondo virtuale...