martedì 6 maggio 2014

La Scheggia e io



ZITTA Scheggia che lo so che potrei fare un milione di cose invece che star qui a scrivere parole che nessuno leggerà mai, che per esempio potrei mettere in ordine l’armadio, che ce ne sono di cose da sistemare nell’armadio, anche stirare Scheggia, sì lo so che ci sarebbe da stirare, e invece me ne sto qui seduta col computer sulle ginocchia come se non ci fosse niente di più urgente al mondo, e stirare sarebbe più urgente, lo so, Scheggia, lo so. Dovrebbero toglierti il dono della parola, a te, Scheggia, che diventi troppo petulante, tu, certe mattine.

venerdì 2 maggio 2014

Di semi e germogli



Al principio è sempre una frase. Tagliente, ritmata e perfetta. Ha la forza di un incipit, anche se poi non lo diventa. È violenta perché si impone, non sempre quando ho voglia di accoglierla. Spesso alla fine di quelle giornate passate a decidere che basta, non scrivo più, il gioco non vale la candela. Spesso la sera tardi, quando è tempo di assopirsi. Poi sono notti, quelle, in cui di solito non dormo.
Di base c’è quasi sempre un certo stato d’animo, una sorta di frustrazione interiore non necessariamente legata a qualcosa che è successo, o non è successo, e forse non accadrà mai. Un vuoto che preme per trasformarsi in pienezza, prima che si allarghi troppo. Un vuoto che calamita parole.
Questo genere di frasi qui raramente arrivano da sole. Spesso si portano dietro un’immagine, o tante immagini, e altre parole, uno stuolo di parole, tutte insieme. E allora mi vien paura di dimenticarle, perché lì nel buio, un po’ sveglia e un po’ dormendo, son parole che mi sembran buone. Di quelle parole, insomma, che scordarle ti sembra uno spreco. Di quei semi che, se piantati e innaffiati, han tutta l’aria di poter germogliare.