Al
principio è sempre una frase. Tagliente, ritmata e perfetta. Ha la forza di un
incipit, anche se poi non lo diventa. È violenta perché si impone, non sempre
quando ho voglia di accoglierla. Spesso alla fine di quelle giornate passate a
decidere che basta, non scrivo più, il gioco non vale la candela. Spesso la
sera tardi, quando è tempo di assopirsi. Poi sono notti, quelle, in cui di
solito non dormo.
Di
base c’è quasi sempre un certo stato d’animo, una sorta di frustrazione
interiore non necessariamente legata a qualcosa che è successo, o non è
successo, e forse non accadrà mai. Un vuoto che preme per trasformarsi in
pienezza, prima che si allarghi troppo. Un vuoto che calamita parole.
Questo
genere di frasi qui raramente arrivano da sole. Spesso si portano dietro un’immagine,
o tante immagini, e altre parole, uno stuolo di parole, tutte insieme. E allora
mi vien paura di dimenticarle, perché lì nel buio, un po’ sveglia e un po’
dormendo, son parole che mi sembran buone. Di quelle parole, insomma, che scordarle
ti sembra uno spreco. Di quei semi che, se piantati e innaffiati, han tutta l’aria
di poter germogliare.
Nessun commento:
Posta un commento